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Elogio del dolore: come essere felici nel rendersi infelici

Cos’è per voi la felicità?
Quando è stata l’ultima volta che vi siete sentiti felici?
Questo articolo non vuole rispondere a queste domande che lancio come possibile riflessione personale, essendo la risposta estremamente soggettiva, ma vuole evidenziare che spesso, senza rendersene conto, si perpetuano modi per essere infelici.
Come scrive il famoso sociologo e psicologo Watzlawick: “Cosa e dove saremmo senza la nostra infelicità? Essa ci è, nel vero senso della parola, dolorosamente necessaria”.
 

Fotografia
La ricerca della felicità non sempre porta alla felicità (Watzlawick P., Istruzioni per rendersi infelici).
 
Brutto modo di iniziare un articolo direte voi, e certo le premesse non sono le migliori, ma dovrete convenire con me che non sempre la felicità è un abito comodo da indossare, la felicità spaventa, nell’impossibilità di essere definita, di essere raggiunta e di essere mantenuta.
 
Avete mai sentito una persona soddisfatta della propria vita e felice chiedersi: cosa ho da perdere? Credo proprio di no, perché la felicità è una condizione troppo preziosa per essere messa in discussione. Qualcuno disposto a perdere quello che ha, probabilmente sente di essere molto disperato e di non avere altra scelta.
 
“Si stava meglio, quando si stava peggio”, “Non ci sono più le mezze stagioni”, “Se questa cosa non fosse accaduta...” Proverbi  e frasi della vita di tutti i giorni ci tengono legati a un passato irraggiungibile nel tempo. Non si può tornare indietro o vivere di “si, ma...”
 
Molti sintomi di quadri ansiosi sono accentuati dal ripercorrere senza fine scelte o situazioni passate, o dall’arrovellarsi su difficoltà future senza trovare una soluzione.
Rimanere legati al passato non ci permette di godere a pieno il presente, esaltare i tempi che furono non ci aiuta ad affrontare meglio i nostri giorni; quando si presenta una situazione tanto agognata, si può dire a se stessi in maniera indignata che doveva arrivare prima e adesso è troppi tardi per goderne a pieno..
 
Spesso ci troviamo a utilizzare gli stessi comportamenti, anche se ci fanno stare male. Questo è del tutto normale.
Perché, vi starete chiedendo? Semplice, tendiamo ad adattarci, per risparmiare tempo ed energia, a ripetere i nostri comportamenti e modi di fare, senza accorgerci che al momento quello che stiamo facendo non è più né l’unica soluzione possibile, né la migliore. Eppure perpetuare nell’errore conosciuto fa meno paura che vagare per le strade dell’ignoto.
 
Altro giro, altra corsa...ripetere lo stesso comportamento rende prevedibile anche la risposta dell’altro pertanto sulla base di quella nostra previsione negativa reagiamo in maniera coerente con le nostre ipotesi, ma in maniera completamente disconnessa da quanto avrebbe potuto dire o fare l’altra persona che rimane sorpresa dalla nostra reazione eccessiva.
L’altro non sa di non aver colpa rispetto quello che  è accaduto, in quanto non può immaginare che la nostra reazione è assolutamente connessa a una serie di eventi immaginati sulla base della ripetizione di certi comportamenti, da noi ritenuti immodificabili.
 
Proviamo inoltre a pensare a tutte le spiegazioni che ci diamo, a tutte le nostre convinzioni che giustificano il nostro vivere... Mi sento in ansia, perché sono fiacca, sarà il caldo.... Ecco che ogni volta che mi sento in ansia mi appello ai cambiamenti climatici, o al cibo o lo associo a un dolore...oppure dico a me stesso che le cose vanno così perché sono “sfortunato”.
 
“Che sfiga”!!!! No, mi dispiace dirvelo: non sempre la sfiga c’entra; noi siamo responsabili delle nostre scelte e accettare delle etichette ci ingabbia in categorie che ci mettono al riparo da qualsiasi cambiamento.
 
Noi siamo così, che ci possiamo fare... Per chi vuole rendersi infelice appellarsi alla sfiga, ai cambi climatici, alla sfortuna è il modo migliore per rimane incatenati alle proprie convinzioni personali.
 
La vita ci mette sicuramente difronte a delle difficoltà; il sentirci più vittime o sfortunati degli altri non ci rende compatibili dalle altre persona, ma solo più infelici.... Ma questo abbiamo visto fa parte del piano, è il prezzo da pagare, per la nostra infelicità...OPS volevo scrivere tranquillità.
 
Altro giro, altra corsa: ecco un altro gioco.
Vi sentite più vittima, carnefice o salvatore?
Molto spesso le relazioni tra le persone si presentano in questo triangolo perverso, che richiama ruoli più o meno noti della commedia italiana, come “Il ricco, il povero e il maggiordomo” di Aldo Giovanni e Giacomo....
 
La vittima è il povero, che nell’essere tale ha dei vantaggi, in quanto gli altri tenderanno a prendersi cura di lui. Per ogni vittima esiste un salvatore, che fa l’elemosina, ed esiste un carnefice, un ricco che lo sfrutta; la definizione del povero permette di percepire il ricco e viceversa. Al terzo angolo abbiamo il salvatore, il maggiordomo tutto fare, colui che servizievole salva e porta armonia, crea gli equilibri affinché vittima e carnefice rimangono tali e l’uno possa definirsi in relazione all’altro.
Pensate che il triangolo abbia bisogno di tre attori? No non è necessario, ne bastano anche due, che a turno indossano maschere diverse.
 
Tale “dinamica perversa” è spesso presente nelle relazioni di coppia, dove i ruoli sono svolti su un piano psicologico, rispetto a come la persona vive se stessa.
 
La vittima è povera e indifesa e chiede aiuto per fuggire da un carnefice, il salvatore servizievole e fedele la salva, la vittima si adagia e chiede di più, si rende sempre più vittima; la vittima diventa carnefice a suo modo, nel chiedere un aiuto smisurato, il salvatore continua a dare finché ignaro di cosa stia avvenendo si arrabbia, in quanto si sente utilizzato e non visto, diventa carnefice. Di fronte al carnefice la vittima diventa sempre più vittima, e conferma la sua visione del mondo, per la quale sono tutti cattivi. Il salvatore si sente talmente in colpa di essere stato carnefice che prova a farsi perdonare...che MAL DI TESTA DIRETE VOI!!!!
 
Infatti è così... Credo che anch’io non rileggerò questo pezzo, tanto è complicato da capire serve solo a darvi l’idea della trappola psicologica, che è c’è dietro l’indossare una di queste maschere.
Basta sapere che se accentuate il ruolo della vittima, sicuramente vi verrà a salvare qualcuno...ma il prezzo è che nell’essere controllate tramite l’aiuto siete anche voi un po' carnefici nel chiedere eccessivo soccorso...allo stesso modo se siete salvatori, state accentuando una condizione di vittimismo di qualcun altro e presto vi sentirete in trappola nel dover dare sempre di più... Se siete carnefici chiedetevi cosa vi fa essere così arrabbiati da dover perseguitare l’altro...
 
Insomma incappare in un triangolo perverso può essere un bel gomitolo da districare e lo stesso vale per le condizioni che noi stessi manteniamo con il nostro comportamento.
 
Possiamo creare mentalmente una situazione spiacevole per noi, accusando gli altri quando noi stessi siamo gli autori.
 
Qual è il nostro ruolo nel fatto che certe cose accadono? Come mai ci troviamo sempre nelle stesse situazioni?
La realtà è piena di rischi e preoccuparsi in maniera eccessiva, predispone una serie di misure cautelari per gestire una realtà incombente, che possono far avvenire quella situazione, tanto temuta.
Le profezie che si autodeterminano si avverano proprio per il nostro tentativo di evitarlo. Ma rendiamo la situazione più semplice con un esempio.
 
Lei: tu mi hai tradito!
Lui: no, non l’ho fatto!
 
Ammettiamo che questa situazione perduri nel tempo e si ripeta tante volte, ogni volta che lei non si senta guardata, desiderata, riconosciuta nel suo valore quanto vorrebbe.
 
Ammettiamo che l’altro non sia un traditore, non abbia intenzione di tradire in quel momento la propria compagna. Il dubbio costante che lui lo possa fare, l’impossibilità di dimostrare il contrario, la sfiducia dell’altro nel proprio comportamento rendono vano ogni tentativo della persona di essere fedele alla propria compagna... E allora tanto vale tradirla.
 
La profezia dell’evento può portar all’avverarsi dell’evento stesso; il timore di lei di essere ferita, abbandonata e tradita diventa così viva da spingere l’altro in una trappola dove la situazione tanto temuta da un partner diventa l’unica via di fuga per il compagno da una situazione estremamente frustante, mortificante e che lo rende impotente.
 
La nostra protagonista alla fine ha la sua dolorosa rivincita: “tutti mi tradiscono o mi abbandono...io lo sapevo, sono sfortunata con gli uomini! Che sfiga!!!”
 
Torniamo a chiederci qual è il nostro ruolo in questo gioco al massacro...
 
Proprio ciò che facciamo per evitare una situazione (tormentare il partner, controllarlo...) ne possono determinare l’avverarsi.
 
Rendersi infelice non è poi così difficile. Corsi e ricorsi della storia ci insegnano proprio quanto per l’uomo sia più semplice perpetuare in una situazione negativa, perché cercare alternative comporta un innumerevole impiego di energie.
 
Anche in terapia il paziente viene e in fondo chiede: aiutami a cambiare senza cambiare nulla.
 
Tale paradosso si riscontra nella vita di tutti i giorni, nell’estenuante ricerca del cambiamento e della felicità...ma prima bisogna cambiare il nostro modo di essere ogni giorno infelici.
 
“Il paradiso all’improvviso” trovato da Pieraccioni, in uno dei suoi film,  è un’accezione che accade solo nelle pellicole cinematografiche, nella realtà per trovare il nostro benessere dobbiamo iniziare a cambiare oggi:
 
....guardarsi allo specchio e dire all’immagine riflessa
 “Chiedimi se sono felice?” (Titolo del film di Aldo, Giovanni e Giacomo)
Ed avere il coraggio di rispondere in maniera sincera.
 
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