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Spesso sono i ricordi non elaborati a condurre il gioco nella vita

Tutti abbiamo desideri e modi preferiti di fare le cose, ma è opportuno chiedersi se le nostre azioni sono frutto di una scelta consapevole o piuttosto una sorta di “riflesso automatico”.  
 
Reagiamo con troppo impeto rispetto a ciò che la situazione richiede?
 
Osserviamo le nostre parole sugli altri, le nostre parole hanno un effetto costruttivo?

Fotografia
Talvolta ci accorgiamo che i nostri modi di fare non sono molto costruttivi, non ci portano a realizzare i nostri desideri, anzi ci conducono a situazioni di sofferenza che si ripetono e si ripetono…
 
Una volta riconosciuto il proprio modo di comportarsi disfunzionale, nasce il desiderio di modificarlo, per fare qualcosa di diverso e più bello.
 
Tuttavia, è possibile che le persone, pur desiderando modificare le proprie modalità di comportamento, si trovino bloccate in schemi che non riescono a tenere sotto controllo. In questi casi, capire l’origine storica e infantile di tali modalità può rappresentare un passo importante per motivarsi a “cambiare”.
 
Ma qualche volta, anche dopo aver compreso il senso storico dei nostri comportamenti distruttivi, questa comprensione non si rivela sufficiente per innescare un cambiamento durevole. Si oppone qualcosa che frena, un senso di inerzia al cambiamento.
 
Perché è così difficile cambiare?
 
Perché le reazioni distruttive sono diventate automatiche e si sono cristallizzate nel nostro modo di essere e di vivere dopo anni di “pratica” senza consapevolezza.
 
Cosa innesca oggi queste reazioni automatiche?
 
Nella maggior parte dei casi è il dolore non guarito proveniente dal passato che scatena le reazioni automatiche e non controllate nelle situazioni di oggi, allorché qualcosa di simile dell’oggi ci ricorda qualcosa di disturbante del passato.
 
Così il passato ci spinge a reagire senza consapevolezza nell’oggi e, di fatto, conduce il gioco delle nostre vite.
 
E noi reagiamo al dolore emotivo di ieri, come se fosse scatenato dall’oggi.
 
Il modo di reagire al dolore emotivo varia in base alla storia problematica delle persone rispetto all’ambiente in cui sono cresciute. A questo proposito, molto importante è il tipo di interazione cui si è assistito da piccoli tra le pareti domestiche. Cosa succedeva tra le persone: stavano bene, andavano d’accordo o litigavano, si ignoravano e si insultavano? Abbiamo imparato tantissime cose partecipando alla vita della nostra famiglia d’origine.
 
In base a questi apprendimenti antichi, oggi mentre si è in relazione con qualcuno che non fa parte della nostra famiglia d’origine, è possibile che emergano dei sentimenti soppressi tanto tempo prima, sentimenti difficili da affrontare o da comprendere.
 
A volte,  per esempio, nell’oggi può nascere un sentimento di rabbia non giustificato e difficile da gestire, oppure si rivivono paure infantili che sono rimaste bloccate nelle nostre reti mnestiche per anni.
 
La situazione attuale fa scattare una reazione del tutto inattesa e apparentemente priva di nessi.
 
Se notiamo che reagiamo in modo eccessivo significa che la situazione scatenante va a connettersi con ricordi non elaborati. Se si è intenzionati a “cambiare”, allora questo è il momento di esplorare l’origine delle nostre intense emozioni per poter comprendere da dove arrivano i nostri modi di  pensare, di sentire e di agire, dargli un senso e se vogliamo, decidere di cambiare.
 
Possiamo prenderci un momento per osservare quello che proviamo e porci delle domande, cominciare a riflettere.
 
Considerando l’evento attuale che ci crea disagio, che emozione è sorta in noi? Cosa ci dice di noi quella situazione? Tenendo a mente questo è possibile poi tornare piano piano indietro nel tempo con il pensiero.
 
Quando sono state provate nel passato quelle stesse emozioni e sensazioni? Se si riesce ad identificare un vecchio ricordo (è utile annotarlo da qualche parte) in cui ci si è sentiti proprio in quello stesso modo, ci si accorge quanto potere ha ancora quel ricordo nell’influenzare la vita presente e come le reazioni di oggi dipendano dal  “li e allora” e non  dal “qui ed ora”.
 
Se riusciamo a compiere una simile esplorazione interiore, diviene evidente come un ricordo non elaborato condizioni il modo di essere attuale e non permetta di godere a pieno delle proprie risorse.
 
Spesso le persone conducono le proprie esistenze in uno stato di infelicità rassegnata, in cui disperano di poter stare meglio.
 
Ma la domanda è: quanto dobbiamo essere infelici prima di deciderci di fare qualcosa al riguardo? Se riconosciamo che il problema sta dentro di noi e ce lo portiamo ovunque, entrare in terapia sarà il primo passo  da compiere per provare ad affrontarlo.
 
Cominciare un percorso di terapia non è un segno di debolezza, al contrario è un segno di coraggio in cui la persona fa il primo passo per prendersi seriamente cura di sé.
 
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